Franco De Faveri, 2005, 'La penombra e l'eco' Prefazione del libro 'Nel fuoco del silenzio - Il Viaggio', 1° Premio Concorso 'Antonio Pozzi', Libreria Archivi del '900, Milano.

 
Con l'editore Luigi Olivetti e il critico Franco De Favere, Presentazione, Libreria Archivi del '900, Milano, 2005
Con l'editore Luigi Olivetti e il critico Franco De Favere, Presentazione, Libreria Archivi del '900, Milano, 2005


Prefazione “La penombra e l’eco”
del libro Premiato, Concorso “Antonio Pozzi”, 
Libreria Archivi del '900, Milano, 2005

    
    Con dolorosa allegria, questo titolo, col suo ardito ossimoro, programmaticamente collocato in limine alla presente raccolta, tornerà a risuonare nel penultimo verso, con forte effetto d’eco. E il procedimento ricompare poi in quasi tutte le seguenti poesie  anche se con qualche variazione . 
    Ci sono poi i casi della proliferazione dell’eco, mediante il ricorso all’anafora. Il primo è dato da Cerco, e, in modo più penetrante ancora, quasi ossessivo, da C’è, titolo che viene ripreso dalla conclusione; tra il titolo e la chiusa, come tra due parentesi, c’è ricompare altre sei volte. 
Il procedimento è naturalmente consapevole, tanto che vediamo invocare l’eco stessa in quanto tale (v. 3-4): Aggiunge mistero al mistero / un’eco d’inaccessibili mari.
L’effetto d’eco di qui impronta di sé l’intera struttura del componimento, in due modi. Il primo è dato dalla semplice ripetizione di una parola ; l’altro, più sottile, merita una approfondita analisi. 
Nella seconda strofa di C’è, si vedano i vv. 6-7: C’è una zona di luce nel dolore,/ nella notte delle nostre notti, essi riecheggiano nella quarta strofa, finale, nei vv. 17-18: C’è una zona d’ombra nell’allegria,/ nella mattina delle nostre mattine. Alla zona di luce nel dolore corrisponde così la zona d’ombra nell’allegria, e le metafore dell’ombra e della luce esprimono bene la penombra in cui, secondo Gladys viviamo, per cui la notte del dolore viene, fiocamente, a illuminarsi, mentre la mattina dell’allegria in parte si oscura. 
Il procedimento non è un semplice gioco d’abilità verbale, ma ha invece una sua profonda verità: il “gioco” degli echi è l’espressione adeguata-inadeguata della possibilità impossibile (v. 16), che non c’è, ma c’è, che è il nulla dell’essere e l’essere del nulla. Ritroviamo qui l’antico Ineffabile dei mistici, trasformato in originale procedimento poetico, quello, appunto, dell’eco. L’eco è una voce, ma diminuita, voce senza soggetto, mera scimmiottatura fonica, misteriosa però. Tanto che, chi gioca con questo mistero, può vedere  l’illusione della presenza aliena, trasformarsi in inspiegabile presenza: che c’è, nonostante tutto… 

In altre poesie, ma assai di rado, il referente mistico compare col suo antico nome, ma circonfuso d’ombra, d’oblio (All’ombra dell’oblio di Dio, in: Agosto di estrema nudità), nella lontananza dell’ assenza  (L’uomo attende la benedizione di Dio, in Cecità). E: ormai non rimangono colori nel gran paradiso di Dio, ci avverte la poesia che porta, col suo eco, questo titolo. Mentre (Alle mie spalle) il vento, ci deruba dell’abbraccio di Dio. 
Ombra, oblio, lontananza, assenza di colore: sono tutti sinonimi della penombra di cui più sopra si diceva e che è l’atmosfera in cui vive l’uomo oggigiorno, che viene descritto in versi pregiatissimi e con metafore di indubbia originalità. Tutti, è detto (riprendo la prima poesia, già citata: Con dolorosa allegria), o quasi, fuggono come animali agitati, in un mondo in cui la natura stessa è diventata simbolo dell’alienazione (Ogni albero, come un albero smarrito e solitario), mentre la speranza, il sogno utopico di un mondo diverso e migliore, sopravvive solo in vestigia (I sogni sopravvivono appena / in frasi e forme dimenticate). 
Questa poesia è paradigmatica nella sua struttura duale, segnata anche dal parallelismo delle sue due strofe nella loro opposizione. V’è qui infatti un mondo altrui e alienato, il mondo della fuga universale come ce lo mostra la prima strofa; di contro ad esso il mondo dell’Io lirico, immerso nel torpore sonnambulo del disamore endemico, come ce lo mostra la seconda strofa. 
Questa opposizione tra due mondi giustapposti dà il paradigma di tutte o quasi le poesie seguenti, da cui scelgo qualche illustrazione.
L’alienazione del mondo esteriore inquina sia il tempo che lo spazio che gli sono propri: il suo tempo ha il carattere dell’anonimità (Agosto di estrema nudità), e della precarietà (o  provvisorietà in: Ciò che ci salva); lo spazio, cioè la terra in cui l’uomo alienato vive, è estranea (Una patria per la sua opera; il predicato ritorna: In terra estranea). 
La condizione alienata invade l’anima nel suo intimo: il cuore è decentrato; si vive nella disintegrazione prima invisibile poi, tanto è presente e minacciosa, addirittura visibile (Una patria per la sua opera). 
Gli affetti sono quindi egualmente alienati e tra essi, prima di tutti, il più importante, l’amore che si fa impostura (Festino ingannevole) e imprigiona l’Io nelle sbarre della sua imminenza dubbiosa. La poesia Alle mie spalle contiene tutta una fenomenologia dei patimenti dell’Io che è particolarmente vulnerabile (Con dolorosa allegria) proprio per la sua vocazione di liricità che lo porta, lo voglia o no, a farsi carico degli altri (porto luci e abissi altrui). 
Rivediamo comparire qui (Sogno un sogno…) la figura dell’eco in una maniera più sottile e profonda: Forse solo sogno un sogno/ che appartiene a un altro…, si chiede infatti l’Io lirico, che si sa vittima di un fare di cui sente tutta la vanità (inutile fare - arte e poesia). 
Eppure questo fare, misteriosamente, sostiene l’anima (Allontanata dal proprio destino). 
Si profila, con ciò, per l’anima (è la parola che, con cuore, più spesso ritorna) un riscatto apparentemente insperabile ma provvisto di una sua misteriosa realtà: Rivelazione (e questo titolo, sprovvisto di eco, non è certo casuale) ci parla dell’oppressione del cuore che cade. Ma in questa caduta, senza più domande, senza resistenze, l’Io si sente sorreggere da qualcosa di totalmente sconosciuto, da qualcosa di estraneo al tempo, molto intimo e potente/ qualcosa che è lì e che – amorevolmente - / gli viene incontro. 
Questa caduta ha carattere di verticalità, visto che essa conduce verso il Totalmente Altro qui liricamente parafrasato con reminiscenze agostiniane (più intimo a me di me stesso, ricordiamo): il rischioso riscatto lirico (come conoscere…l’esatto colore delle parole?, si chiede Sogno un sogno…) è, identicamente un riscatto mistico, come conferma anche la poesia immediatamente seguente, dal titolo non si potrebbe più parlante: Gloriosa visione. 

La poesia è uno scandaglio dell’anima e il poeta un palombaro degli abissi: Gladys Sica è giunta, con queste belle e appassionate poesie ai più remoti fondali della disperazione - ma anche della speranza. 
                Franco De Favere