Franco De Favere, 2002, 'Gli abissi di Gladys Sica', Personale 'Mirada Migratoria', Circolo Filologico, Milano

 
Personale Circolo Filologico, 2002, sotto fra la letrice Sarah Manzoli e il critico Franco De Favere
Personale Circolo Filologico, 2002, sotto fra la letrice Sarah Manzoli e il critico Franco De Favere


“Gli abissi di Gladys Sica”
Personale "Mirada migratoria”, 
Circolo Filologico, Milano, 2002. 

Gladys Sica si presenta con un programma assai nutrito, a trifoglio: c'é infatti da un lato la pittura, dall'altro la poesia e poi sullo sfondo la scultura, da cui proviene (l' ha studiata a Buenos Aires) e che aleggia, magari come presenza assente, sul tutto.
Guardando meglio, però, uno s'accorge che il trifoglio é in realtà un quadrifoglio, se non un penta- o esafoglio: il programma pittorico é infatti assai articolato in sé; ci sono da un lato, e risaltano immediatamente all'occhio, gli ampi lavori a campiture e larghe macchie, spatolari come l'arnese, la spatola, con cui sono stati eseguiti; a fianco di essi, e ben distinta, si colloca la produzione più recente, a pennello (olio e colori acrilici) in rapido movimento verso l'informale; ci sono poi le incisioni su linoleum; in un altro settore ancora scopriamo però subito una produzione diversa, quella su cartone, minimalista, essa stessa con le sue articolazioni interiori: alla pittura vera e propria si affianca infatti un modo di formare del tutto peculiare, se non unico. Guardate da vicino: in vari cartoni la profondità non é ottenuta col solito effetto illusionistico, operando colla prospettiva, ma con un lavoro di scavo che scuoia il materiale mettendone a profitto l'interiorità concreta delle scalenature col gioco proprio delle ombre e della luce. 
C'é un'unità di fondo che sorregge i diversi lobi del multifoglio? Direi di sì ed é dovuta ad un interessante interazione, ad un intergioco tra le due anime principali dell'artista, quella plastica e quella poetico-musicale. L'unità é il mare, anzi l'oceano che Gladys ha attraversato nei due sensi varie volte e di cui é restata come prigioniera, come lo é la valigia che naviga su di esso, "perduta" con tutti gli effetti personali che contiene (cioè con l'identità della persona), in uno dei quadri a spatola.
L'oceano però é un'unità non solo come motivo pittorico, d'utile occasione (contate i quadri m cui le onde marine, nel loro ampio moto, appaiono sullo sfondo o anche sul proscenio), ma, più profondamente, unità esistenziale e archetipica, che preme "dal basso" e pulsa nell'immaginazione dell'artista: il mare, l'oceano, é infatti onnipresente a livello di connotazione, come si vede da un'analisi semantica. L'oceano é abissale, avvolgente, evoca il lontano, é mosso a perdita d'occhio, eternamente variabile nelle sue sfaccettature infinite. Ebbene, si leggano le poesie e si faccia attenzione al gioco verbale dei riferimenti: il "lontano" vi é ricorrente, con esso le "onde", la partenza, il ritorno, la nostalgia dell'approdo e dell'impossibile riferimento fisso. 
Lo stesso gioco di disseminazione semantica é presente nelle opere pittoriche: il moto molteplice dell'onda si rispecchia qui in quello della danza (certo, il tango argentino), ma anche nel palpitare delle ali delle farfalle (si veda il cartone, candeggiante che se ne ispira). Poi, l'abisso: esso compare (al di là dei fondali oceanici), con due diverse versioni: un'ancora impregnata dell'idea dell'acqua (e saranno le cascate al confine tra Argentina e Brasile "Las Cataratas del Iguazù", più alte e impressionanti delle più note del Niagara); un'altra versione viene data dal "Treno delle nuvole" nella provincia di Salta al nord dell'Argentina a più di m. 4.000 d'altezza. Qui la molteplicità oceanica é proiettata nel cielo, che é visto come un oceano rovesciato; l'abisso tra gli altissimi monti viene indicato dal molteplice gioco dei fragili e traballanti tralicci ferroviari, minaccioso nell'evocazione che lo sottace e quindi lo esorcizza (si vede una testa che si sporge dal finestrino a guardare). II treno viaggia quindi, m realtà, sospeso tra due abissi, al risicato limite tra essi. Non c'é metafora più terribile dello spaesamento in cui si riassume una condizione lirica e umana, profondamente sofferta. E' essa, direi, che riscatta il momento proteiforme dell'operare di Gladys, trattenendolo sul limite della sperimentazione gratuita e della bravura fine a se stessa.
Proteo, il dio marino, anzi il mare, l'oceano reso antropomorfo, per l'Ulisside che é Gladys é segno della labilità di chi cerca la radice e si consola, nell'attesa, con la memoria del cane (il motivo torna due volte), segno della fedeltà, dell'appartenenza, di chi accoglie l'Ulisside inseguito dalla nostalgia.

Franco De Favere